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Malattie rare, i costi indiretti e sociali pesano per l'80%

Sanità pubblica Redazione DottNet | 29/10/2018 15:46

La mancata produttività del paziente e del caregiver pesa per circa 11 mila euro l'anno per malati di Sma, 7 mila euro l'anno per la sindrome di Duchenne, 3.350 euro l'anno per l'acromegalia e 200 mila euro per il mesotelioma

Nella cura e assistenza ai malati rari, i costi indiretti e sociali la fanno da padrone, tanto da assorbire circa l'80% di quanto si spende. Fare ricerca sui farmaci orfani permette, in prospettiva, di contribuire ad abbattere questi costi. A fare il punto il convegno "Farmaci orfani e Servizio sanitario Nazionale, storia di un incontro virtuoso", al Ministero della Salute.  "I costi dovuti a perdita di produttività e quelli previdenziali rappresentano il peso economico maggiore nel campo delle malattie rare", spiega Francesco Saverio Mennini, direttore del Centro di HTA del Ceis dell'Università di Tor Vergata. Ad esempio, "la mancata produttività del paziente e del caregiver pesa per circa 11 mila euro l'anno per malati di Sma, 7 mila euro l'anno per la sindrome di Duchenne, 3.350 euro l'anno per l'acromegalia e 200 mila euro per il mesotelioma".

Costi a cui aggiungere quelli per le tutele, come l'assegno ordinario di invalidità e la pensione di invalidità, due voci che hanno subito un incremento medio, rispettivamente, del 60% e del 65% in dieci anni. Queste voci, se la malattia viene bloccata o regredisce, si riducono a vantaggio della sostenibilità del sistema. "Pertanto - precisa Mennini - nel momento in cui valutiamo l'ingresso di un farmaco non possiamo considerare solo l'impatto sulla spesa farmaceutica, ma anche e soprattutto l'impatto sulla riduzione dei costi indiretti". I soldi spesi per la ricerca in questo campo sono "doppiamente utili", spiega Ilaria Ciancaleoni Bartoli direttrice dell'Osservatorio Malattie Rare (Omar). "Dobbiamo pensare ai farmaci orfani - sottolinea - come il prototipo di un'auto, in cui si investono soldi e tecnologia che verranno poi utilizzati anche su altre vetture". Per poter ottimizzare gli sforzi, spiega Armando Bartolazzi, sottosegretario alla Salute, "abbiamo innanzitutto la necessità di classificare le malattie rare suddividendole per cluster, e per ogni cluster individuare i percorsi di cura e trattamento più efficaci. Se teniamo tutto in unico calderone rischiamo di perdere tempo e risorse".

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Decine di esami, analisi visite e pareri di medici, e' la trafila che ogni malato raro ha dovuto affrontare in media per 5 anni prima di arrivare a trovare il nome della patologia di cui soffre. E ogni anno di ritardo di diagnosi costa in media 2.100 euro per paziente al Servizio Sanitario Nazionale, considerando solo gli esami inutili. Ma la rivoluzione, da questo punto di vista e già iniziata, anche se e' ancora per pochi, e consiste nell'analisi del Dna. .  Di malati rari ne sono stimati un milione in Italia e 30 milioni in Europa, il 6% di loro non ha una diagnosi. Esistono circa 6000 o 7000 malattie rare ma 350 di queste colpiscono l'80% dei malati rari, mentre circa 5.000 malattia colpiscono meno di una persona su un milione", spiega Bruno Dallapiccola, direttore Scientifico Irccs Bambino Gesù (Opbg). La maggior parte di queste patologie sono croniche, la metà interessa i bimbi.

"Per il 90% hanno una base genetica e di circa due terzi conosciamo le basi genetiche ma si tarda in media 5 anni nell'individuare la diagnosi. La vera rivoluzione viene dall'utilizzo della genomica". In particolare le analisi esomiche, ovvero che prendono in considerazione la parte codificante del genoma, sono state utilizzate su 652 casi di piccoli malati rari senza diagnosi all'Opbg e nel 60% dei casi si e' riusciti a individuare di cosa soffrissero. "Dal 2000 a oggi, da quando si iniziò a fare il sequenziamento del genoma, il costo di questo esame e' passato da 100 milioni a 300 euro.   Ma ancora e' molto poco utilizzato. Considerando l'abbattimento dei costi e considerando quanto si spende invece in terapie inefficaci ed esami inutili, sarebbe necessario trasferire queste tecniche di analisi nella pratica clinica e inserirle nei Livelli Essenziali di Assistenza".

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